Questa campagna in tre fasi strategiche è volta ad intercettare il pubblico in target, acquisire la sua fiducia e poi colpire con la tattica del remarketing. Solo così potremo conquistare fette di mercato appartenenti alla concorrenza.
Queste sopra sono parole mie, ma avrei potuto prenderle in prestito da una qualunque riunione di un’area marketing aziendale. Non c’è nulla di strano, si mutuano espressioni da ambiti idealmente vicini. Accade da tempo. Come faceva Berlusconi quando, parlando di politica, diceva che sarebbe sceso in campo proprio come come un calciatore. Ricordi? L’aspetto linguistico mi ha attratto, ma alla fine è il contenuto di questa metafora guerra-marketing che fa la differenza da molti anni.
Trarre ispirazione dalla guerra non è il massimo, o no?
Ormai c’è un movimento spontaneo fatto di persone e di esperti della comunicazione che decidono quotidianamente di non parlare più di target bensì di pubblico, di non avere obiettivi ma scopi e di allontanare fondamentalmente le suggestioni dei conflitti da quello che è sì un lavoro di tattica, ma che non è volto ad uccidere nessuno. Magari la metafora della guerra può essere facilmente intuibile, ma eticamente non a tutti piace paragonare la battaglia armata al mercato. Non a tutti, ma a molti sì. Ed è inutile negare che il parallelo funziona bene. In termini di espressioni ma anche in termini di pensiero.
Infatti è vero anche che nel 2016 – e cioè pochissimi anni fa – la riedizione per il ventennale di un classico della letteratura di settore come “La guerra del marketing” di Ries e Trout ri-sosteneva con successo che:
Il primo passo per sviluppare qualunque programma di marketing è domandarsi: «Che tipo di guerra stiamo combattendo?».
La guerra del marketing, Anteprima, 2016
E ancora
[…] i principi della Guerra del marketing sono più importanti che mai. Le aziende devono imparare come trattare con i loro concorrenti. Come evitare i loro punti di forza e sfruttare le loro debolezze.
Le organizzazioni devono imparare che non si tratta di farcela o morire per la propria azienda. Si tratta di far morire l’altro per la sua azienda.
La guerra del marketing, Anteprima, 2016
Si tratta anche di seguire la giusta strategia. Che tu sia una grande, una media o una piccola azienda.
Il bestseller americano, che include nei capitoli titoli come Il principio di forza o La superiorità della difesa, ci tiene ad evidenziare come il paragone tra guerra e marketing è tutt’altro che superato. La metafora funziona, anzi a loro detta è ancora più pregnante oggi, all’epoca del ventennale del libro. Quando il mercato è globale.
Intendiamoci, non parliamo di nuovi arrivati. Ho visto le librerie di diversi colleghi e quasi tutti posseggono “Le 22 leggi immutabili del marketing” scritte dallo stesso Ries autore di questo saggio sulla guerra del marketing. E non solo, da questo libro e da un paio di altri libri è venuta fuori quella che potremmo definire una sotto categoria del marketing che Wikipedia intitola Marketing Warfare Strategies (il titolo originale del libro finora menzionato è Marketing Warfare).
Ries, Trout, Kotler, Quinn, tutti scendono sul campo di battaglia
I due autori de La guerra del marketing non sono soli. Non sono i primi. E sono in ottima compagnia. Qui parliamo di persone che hanno guidato il marketing globale degli ultimi 50 anni con i concetti di Focus, di Posizionamento. Di esperti che negli anni 80 hanno capito per primi che L’arte della guerra di Sun Tzu, Della guerra di Carl von Clausewitz, e Il libretto rosso di Mao Zedong contenevano i semi di un approccio vincente non solo in guerra ma anche in ambiti differenti ed evidentemente sovrapponibili, come quello del marketing. Kotler già nel 1981 scriveva un articolo dal titolo “Marketing warfare in the 1980s”.
per vincere una competizione sempre più spietata le compagnie dovranno imparare quando e come attaccare, quali colpi schivare e quali posizioni difendere.
La guerra del marketing, Anteprima, 2016
La chiave di lettura per questi suggerimenti epocali sta nella direzione in cui rivolgere lo sguardo. Non è più possibile limitarsi a guardare al cliente finale con i suoi desideri da soddisfare. Si è in troppi a farlo. È necessario tenere sotto osservazione i competitor.
I nemici.
Individuare i loro punti di forza, quelli di debolezza e capire come e quando colpire.
Competitor analysis
Quando il SEO specialist o il social media manager tirano fuori la competitor analysis, stanno affilando le armi praticamente! Lo studio del posizionamento, dei punti di forza, dei risultati e dei punti di debolezza di realtà concorrenti alla nostra è propedeutico alle decisioni strategiche successive. Queste ultime hanno lo scopo di occupare posizioni o attrarre fette di mercato precedentemente di pertinenza del concorrente su menzionato.
Anticipare le mosse, intuire l’azione che spiazza al momento giusto. E fare il Gengis Khan del mercato. Del web. Restiamo sempre nello stesso universo parallelo, quello dove si incontrano la guerra e il marketing.
La competitive analysis contempla la ricerca e l’individuazione dei principali concorrenti. L’osservazione quindi dei loro prodotti, delle loro strategie, dei loro vantaggi e svantaggi. Non solo, qui ci aggiungerei – ma non scommetterei che sono il primo a fare il paragone – che trattandosi di ascoltare attentamente si potrebbe parlare di vero e proprio spionaggio. Non di dati segreti, ma di dati legalmente riscontrabili. E allora diventa importante studiare le reazioni dei clienti della concorrenza. O, perché no, il modo in cui gestiscono le crisi.
Poiché un’immagine parla molto da sé, prendo ad esempio uno schizzo da uxknowledgebase che schematizza una parte di competitive analysis sulla user experience
“Giochiamo a fare la guerra?”
Ora non giudicherò quel sapore un po’ retro della testa scolpita rappresentante il logo della RIES consulting, abbiamo capito la guerra e abbiamo capito gli americani. Ma voglio chiudere con una citazione. E stavolta non da un bestseller. Bensì da un blockbuster, che sempre americano è:
Billy Ray: Okay. Il prezzo della pancetta di maiale è andato scendendo tutta la mattina, il che significa che stanno tutti nei loro uffici seduti aspettando che il prezzo precipiti per poter comprare a quattro soldi. Chi ha invece bisogno di vendere le pancette se la sta facendo sotto, perché pensa “Ehi, qui perdiamo i nostri quattrinoni. Natale è dietro l’angolo e io non potrò neanche comprare la tuta spaziale a mio figlio”, okay? “E mia moglie non vorrà scop… Mia moglie non vorrà fare l’amore con me perché io non ho soldi”, okay? Per cui stanno lì a cagarsi sotto e a urlare: “Vendete! Vendete!”, perché non vogliono perdere i loro soldi, giusto? Stanno tutti a chiappe strette, io lo sento, tutti quanti. Guardateli. Muoiono dalla strizza.
Randolph: Mortimer, ha ragione Valentine. Eh, sì, ha ragione.
Billy Ray: Io aspetterei che arrivi a 64 e poi comprerei. A quel punto gli avvoltoi sono già fuori.
Randolph: Ti rendi conto di quanti soldi ci ha fatto risparmiare, Mortimer?
Non resta altro da fare quindi se non capire come muoversi, se si hanno le carte in regola per una guerra difensiva, se bisogna pensare all’attacco, se l’attacco va fatto ai fianchi o se date le dimensioni bisogna optare per il caos della guerrilla.
Tutto non prima di aver imparato a conoscere sé stessi e i propri nemici però. Forse cominciando a studiare qualche pilastro della letteratura del marketing bellicoso.
Risorse utili sulla gerra nel marketing
- Pubblicità: moda e guerra. Le parole in comune – un interessante libro di Fabiana Gabellini. Da linguista non posso che citare questa fonte oerché si concentra proprio sul linguaggio. Link Amazon.
- Art of War and Its Implications on Marketing Strategies: Thinking like a Warrior – testo completo in pdf scaricabile. Uno studio recente sull’International Journal of Research in Business and Social Science.
- 11 esempi di guerrilla marketing – articolo dal blog di Riccardo Esposito, My Social Web.
- Una recensione bella del libro di Trout e Ries su Inside Marketing.
- Hubspot spiega la competitor analysis