Questo post è solo un ammissione, una confessione. Ho cambiato idea, semplicemente. Su cosa? Sul freddo calcolo che sta dietro gli algoritmi e che incatena. Almeno così credevo. Il mio dubbio: e se invece rendesse più liberi? Complice del dubbio, la musica.
Cosa è un algoritmo
Chi lavora in ambito digital ormai sente parlare quasi quotidianamente di algoritmi. Circa 15 anni fa, a memoria, l’argomento entrò di diritto nei trend topic. La gente cercava su Google cosa fosse un algoritmo perché si cominciava a capire che questo strumento, il quale è una strategia in realtà, avrebbe regolato alcuni ambiti delle nostre vite. O forse perché Facebook diventava la social network. Una strategia, come dicevo. Il concetto in realtà nasce centinaia di anni fa, o forse migliaia.
Regole, operazioni, istruzioni, procedure. Per risolvere problemi. Per trovare soluzioni. Risultati. Il tema una volta era appannaggio di matematici ed informatici, in senso stretto. Forse lo resta ancora, ma algoritmo è un termine sulla bocca di molte più persone al giorno d’oggi.
Per me, per noi esperti in ambito di digital marketing, l’algoritmo è un termine che suggerisce fondamentalmente sempre le stesse due o tre idee. È un sistema di variabili influenzabili alla base di operazioni – ai più sconosciute – che hanno il fine di:
- ordinare i risultati di ricerca su Google;
- mostrare i contenuti più congeniali ai tuoi gusti sul wall di Facebook;
- proporre musica che possa piacerti su Spotify, film su Netflix, etc.
Il mio odio per gli algoritmi
La mia idiosincrasia per gli algoritmi non deriva(va) dal lavoro fatto sulla SEO o sul Facebook Advertising o sul social media management. Ci sono cose a cui tengo di più. La musica, ad esempio.
Non sopportavo l’idea che un software come Spotify stesse praticamente soppiantando molti device di ascolto musicale (e io ho usato le musicassette, i cd, i minidisc, i vinili, le radioline, i walkman, gli stereo, il CantaTu!) e in cambio di cosa poi? Cioè, una app di musica in streaming (mp3 di qualità potenzialmente opinabile, una cosa che esiste solo in quanto sviluppo di codice), faceva fallire o passare in secondissimo piano ciò che rappresenta i ricordi di tutti gli amanti della musica, a causa di un trend e in nome della comodità. E i milioni spesi in collezionismo!
Scelte, mai caso. Logica, mai istinto. Mente e poco cuore.
Peggio ancora, Spotify è un’app che si prende il diritto di farti ascoltare cose che non hai deciso di ascoltare! Poi, i cd e i vinili non sono spariti. Anzi, paradossalmente gli LP sono di nuovo di moda e per la prima volta hanno superato nelle vendite gli altri supporti. Mi sono tranquillizzato. E come sempre ho continuato a comprare musica, a leggere webzine sull’argomento e ad acquistare libri di critica e storia musicale. Ho sempre il mio stereo e il mio giradischi nuovo. E non posso mai rinnegare i lettori mp3 Creative, l’iPod, quel lettore cd portatile che mi sfondava le tasche dei jeans.
Lo uso Spotify, come continuo ad usare Bandcamp, SoundCloud, etc. e forse era il successo spropositato a contribuire al mio scetticismo. Va bene. Ma da qui a riuscire ad accettare che l’amore della mia vita, la musica, potesse essere scelta al posto mio da un insieme di ics, più e meno…beh, sembrava impossibile fino a poco fa. Non mescoliamo l’anima con i calcoli. E poi mi sono reso conto di una cosa.
Il mio amore per gli algoritmi
Sono sempre stato un mezzo soggetto ossessivo-compulsivo. Compensavo il caos con categorie e organizzazione. Scelte, mai caso. Logica, mai istinto. Mente e poco cuore. Poi ho iniziato a guarire. Me lo sono imposto. Oggi cambio posto a tavola senza preoccuparmene e le abitudini tendenzialmente le scanso invece di assecondarle. A livello strategico, creo il caos volutamente per il puro piacere di goderne i benefici creativi.
Per comprare un disco passo attraverso studi di giorni, però. Mi metto a parte della storia di un genere (oramai sono abbastanza ferrato, non è che sto le settimane a leggere per acquistare un LP), mi incuriosisco con i protagonisti, leggo opinioni di critici e di ascoltatori esperti. Continuo a farlo nonostante la guarigione di cui sopra. Mi piace. È un hobby, studiare. E funziona, è perfetto. Non sono mai stato deluso da un ascolto, quasi. Studio, ascolto, compro. Quindi so sempre quello che ascolterò.
Ma è limitante, e me lo ha insegnato l’algoritmo di Spotify! Perché fa ciò che si prefigge di fare.
Discover Weekly, Release Radar, Daily Mix. Cosa sono? Non voglio spiegare come funzionano dal punto di vista tecnico, allego delle letture raccomandate a fine articolo per questo. Ma che fanno? Non sono altro che il risultato dell’algoritmo di Spotify.
Una strategia, un insieme di calcoli che raccoglie come dati (le variabili a cui mi riferivo prima) i tuoi ascolti abituali e anche i tuoi non-ascolti e li usa per imbastire espressioni matematiche fatte di suoni, mood, note, generi, toni. Restituisce come risultato playlist di musica esistente e composta di pezzi di quei dati.
E quell’insieme di calcoli impara. Un po’ come dire che se ti piacciono le cicorie non puoi non amare i friarielli. Ma io i friarielli non li ho mai mangiati. APPUNTO!
Un algoritmo informatico dei giorni nostri più mangia dati e più impara. È l’epoca dei dati, è il machine learning. È il motivo per cui Facebook è gratis. Perché se il sistema impara bene cosa offrirti, sarai tu a non voler più fare a meno del sistema. E io, per uscire dai miei schemi, per liberarmi dalle classifiche e dalle recensioni, ho trovato un alleato nel mio nemico numero uno. Lui ormai mi conosce e spesso sa bene di cosa ho bisogno. Lui sa offrirmi i friarielli anche se io non li volevo. Alla fine ci stavano bene nel piatto.
Ma poi, cosa potevo mai aspettarmi da uno tutto logica e mai istinto, tutta mente e poco cuore?
Suggerimenti di lettura:
• How does Spotify know you so well
• I Decoded the Spotify Recommendation Algorithm. Here’s What I Found.
• How Spotify’s Algorithm Manages To Find Your Inner Groove
Brano ascoltato durante la scrittura: Change of Ideas – Bad Religion
Ok, poi mi è venuta la scimmia e ho ascoltato tutto Smash degli Offspring. E I remember yesterday di Donna Summer!